MAYBE TOMORROWDAY

Racconto di Sara Cedrani ispirato a Cercando Alaska

MAYBE TOMORROWDAY

 

Vado alla ricerca di un grande forse

François Rabelais (1494 – 1553)

Stefano fissava la casa in cui era cresciuto, e più la guardava, più gli appariva estranea. È buffo quanto la gente sia attaccata agli oggetti, pensava, come se senza di essi non valesse; la nostra società ci spinge a credere che se non si possiede nulla, non si è nulla. Ma lui sapeva che la sua essenza non era lì: non era nel divano costoso su cui sua madre lo aveva stretto forte prima di lasciarlo, né nella scrivania dello studio da cui il padre lo scrutava con sguardo deluso perché per lui non era mai abbastanza. – Se tuo fratello fosse ancora qui, lui sì che sarebbe un figlio degno di rispetto – diceva con voce fredda e apatica.

Stefano aveva adorato Gianluca, suo fratello, e, quando a diciotto anni un incidente d’auto lo aveva ucciso, niente era più stato come prima. Sua madre, incapace di sopportare il dolore, li aveva abbandonati e a lui e a suo padre era rimasto solo il silenzio, dietro cui si erano barricati per anni, incapaci di esprimere la loro sofferenza.

Nel silenzio aveva trascorso l’adolescenza, senza mai riuscire a colmare quella voragine nera che si sentiva dentro, sempre inadeguato per il mondo. Solo ora si rendeva conto che per tutto quel tempo era stato perso. Quando Gianluca, il suo punto di riferimento, era morto, si era smarrito. Da allora aveva cercato se stesso in molti modi: nei bicchieri del sabato sera, nelle canne in compagnia di sconosciuti travestiti da amici, tra le labbra di troppe ragazze; ma non si era mai più ritrovato.

A volte la notte non riusciva a dormire, sentiva il cuore battere e lo coglieva un irrefrenabile terrore della morte per il timore di stare semplicemente esistendo, senza vivere davvero. Tutti quelli che conosceva volevano “cogliere l’attimo”, ma nessuno ci riusciva realmente. Temeva che un giorno quei ragazzi che avevano voluto infrangere le regole del mondo sarebbero diventati adulti moralisti e perbenisti, e soprattutto aveva il timore di ritrovarsi tra loro, con troppi rimpianti e poche gioie. Aveva letto un giorno le ultime parole di un poeta francese: “Vado alla ricerca di un grande forse”. Per lui quel forse stava oltre la soglia di quella casa che aveva odiato; forse andandosene avrebbe compreso qualcosa di più di riguardo a se stesso, e forse sarebbe riuscito a ritrovarsi. Non c’era nulla di certo e definito. Nonostante ciò afferrò lo zaino che era ai suoi piedi, e uscì per strada. Mentre camminava, si sentì per la prima volta totalmente libero, da quel momento il suo tetto sarebbe stato il cielo e il pavimento la nuda terra. Finalmente si era lasciato alle spalle la sua vuota esistenza e aveva la possibilità di vivere realmente. Capì camminando, che essere giovani vuol dire soprattutto avere il coraggio di rischiare, per andare alla ricerca di quel “grande forse” che è la vita vera.